18
Mag
2011
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Più votata fra le donne: grazie Torino! Ma la prossima volta sarò io a volantinare per Suad e Hakima

Sono successe molte cose, in questi due giorni. A Torino abbiamo un nuovo sindaco: Piero. Senza se e senza ma: sindaco di Torino al primo stormir di foglie e di exit poll. A noi piace fare le cose ordinate: si vince, si festeggia in fretta e domani è un altro giorno. Piero sarà un ottimo sindaco perché appartiene a questa città come la Mole, i rubatà e i gianduiotti. Come Sergio e il suo cappello d’Alpino, così impastato di torinesità da far sfigurare Cavour. Sono successe molte cose anche a me. Sono stata eletta in Consiglio Comunale. Con molti voti.  Esagerùma nen, si dice da queste parti. Non esagero: molti. Comunque inaspettati. Quando si naviga nel mare aperto della città non è chiarissimo come sono i fondali, i pescaggi, le reti. Si naviga e si esplorano, senza avere certezza di quello che succederà. Quando si tirano su le reti – dentro le urne – si può trovare uno scarpone vecchio, una latta arrugginita. Oppure 1.983 preferenze: la quarta nella Lista del PD. La prima donna eletta. Ciùmbia, si direbbe a Milano.

Però ci sono stati alcuni ingredienti, in questa avventura, che meritano rispetto e attenzione. Non per me personalmente, ma per la politica in generale. E per il PD in particolare. Il mio comitato elettorale, intanto: nessuno dei ragazzi è iscritto al PD, molti meno giovani sono iscritti e arrabbiati, altri non ci pensano nemmeno, tutti amano la politica e si appassionano alla città. Viviana, Giorgia, Marco era la prima volta che facevano qualcosa di così esplicitamente politico. Altri  non hanno nemmeno il diritto di voto. Suad vive qui da 12 anni, è nata in Marocco ed è una torinese nei modi, nella pronuncia e nella puntualità. Valter è bosniaco, rom nato a Banja Luka e qui da quasi sempre. Non hanno la cittadinanza ma esercitano, da sempre, la cittadinanza. Quella attiva, appassionata, seria, intelligente.

Andare con loro nei mercati e discutere insieme di immigrazione, paura, conflitto cambia la prospettiva, vi assicuro. La prospettiva della signora Maria, intanto. Che di fronte a questi ragazzi sorridenti, intelligenti e preparati si incuriosisce, sorride e discute. Poi ci sono stati Bocar, Abdelhaziz, Hakima, Aurelia, Mohamed, Fatima, Esmeralda, Mark, Eva, Ibrhaim, Amir, Younis, Sherif, Benko… così tanti che non li elenco nemmeno tutti. C’è stato Faousi che ha ricordato ai suoi connazionali tunisini: «Noi non abbiamo il diritto di voto ma abbiamo il dovere di far votare quelli che ce l’hanno e non lo considerano un valore. Noi subiamo le scelte della politica ma non possiamo decidere. Adesso tocca a noi, perché Torino è anche nostra». E allora ci sono stati volantinaggi spontanei ai mercati, incontri con i genitori italiani dei loro figli, con i compagni di università, con i connazionali con cittadinanza, con i vicini di casa.

Ho partecipato a decine di incontri così: gruppi di 20, 30 persone con le quali ho discusso di politica, di Torino, di lavoro, di scuola, di futuro. Sono andata ad un incontro organizzato da Mohamed: 300 persone, uomini e donne, e domande sulla partecipazione, il voto, la democrazia. Molti kebabbari avevano il mio materiale sul bancone e spiegavano ai clienti chi ero. E’ così che ho conosciuto due ragazzi giovani che hanno letto il pieghevole, sono andati sul sito, hanno visto dove trovarmi e sono venuti a conoscermi. Si sono incuriositi, mi hanno detto, perché non è usuale che il proprietario di un kebab si spenda così tanto per convincere a votare una del PD. Donna, per di più.

I principali centri islamici della città hanno scritto una lettera in arabo e italiano ai 2.500 arabi con cittadinanza italiana. Cominciava così: “L’articolo 3 della Costituzione Italiana a Torino è programma politico”. Nella sede del Comitato – 15 metri quadri nel cuore di Barriera di Milano – il mitico Enzo insieme a Franco e gli altri che si alternavano hanno passato le giornate a spiegare come si vota a frotte di immigrati che venivano, chiedevano, cercavano di capire la differenza tra il voto in Comune e quello in Circoscrizione. I ragazzi di via Agliè – il gruppo rap di Torino Nera – sono venuti a cantare al Lapsus insieme agli Architorti, a Furio di Castri e a tanti altri.

Un mio conoscente che già mi avrebbe votato ha ricevuto il mio santino dai suoi collaboratori domestici filippini. Lo stesso è capitato alla mia amica Gianna, a cui il pieghevole è stato portato dalla sua signora rumena. Sono stata votata dai datori di lavoro e dai dipendenti. Ciùmbia di nuovo. Hakima ha parlato con tutti gli ambulanti del mercato dove lavora suo marito. I genitori di Fedoua hanno bussato alle porte dei loro vicini italiani e hanno spiegato che votare è importante.

Esmeralda, travolgente Pasionaria intelligente e coltissima, è venuta con me in giro per la città e mentre distribuivamo materiale chiacchieravamo di arte e poesia. Le sisters, fantastiche suore di strada, hanno volantinato alle donne con cui passano i pomeriggi a cucire e parlare. I ragazzini multimulti di Barbara sono andati in giro in bici per il quartiere facendo il buca a buca. I balonari hanno organizzato una cena dove si è discusso di mercati, di DURC, di usato, di 121unisti che nessuno ricorda cosa siano a parte pochi di noi e loro.

Poi c’è stato anche altro, tanto altro. Così tanto e così intenso che davvero sembra un concentrato di pomodoro che sta tutto nel tubetto e bisogna diluirlo. C’è stata la ragnatela: fili che si intrecciano con altri fili e collegano punti impossibili e distanti. Questi ultimi due mesi sono stati così: una travolgente, intensa e accaldata corsa ad intrecciare fili senza escluderne nessuno. Nemmeno quelli tessuti da coloro che, apparentemente, non sono “convenienti” per vincere.

Io non so se le 1983 preferenze arrivano da questa rete. E non saprei nemmeno dire se una rete così si può improvvisare o, piuttosto, è quella intessuta nei tanti anni di immersione nella pancia della città. Io so che sulla parola “consenso” dovremmo riflettere a lungo e imparare a gestire anche le questioni scomode con un po’ più di coraggio e meno paura di perdere. E sulla partecipazione degli immigrati sarebbe bene, anche qui, essere un po’ più articolati e meno schematici. Perché non basta metterne qualcuno in lista per conquistarsi il titolo di partito aperto e multietnico. Non serve scoprire due mesi prima delle elezioni che un botto di loro votano anche: a Torino circa 7.000 (esclusi i rumeni). Un numero simile a quello che ci ha fatto perdere le Regionali, per dire. Non è neanche detto che siano tutti di sinistra, tutti disponibili a votare, tutti interessati alla politica. Però sono parte dei nostri potenziali elettori e spesso sono molto più motivati alla democrazia di quanto non si possa pensare.

Vale per gli immigrati, per le donne, per i giovani: la partecipazione si attiva se si è convincenti, se ci si mette la faccia, se si aprono le porte, se si attivano reti e se si è disponibili a mettersi in gioco. Serve accogliere la voglia di partecipazione, serve far crescere classe dirigente. Serve tempo, cura e attenzione. Perché la prossima volta mi piacerebbe essere io a fare volantinaggio per Suad, Esmeralda, Valter o Aurelia. E morirei di soddisfazione a veder entrare Houda in Sala Rossa con il suo foulard colorato e la sua pacata intelligenza politica.  La rete c’è. La ragnatela è intrecciata. Adesso lavoriamoci, tutti. Serve anche al PD, a cui vogliamo bene.

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