12
Apr
2011
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L’Europa, gli sbarchi e l’inadeguatezza: contro paura e vergogna, l’Italia migliore

L’Europa non può rinchiudersi in se stessa. L’Europa che noi vogliamo è aperta sull’umanità. Noi vogliamo essere cittadini d’Europa ma vogliamo essere cittadini del mondo. (…) L’Europa deve costituirsi per ciò che noi chiameremo europeizzazione. Ed il principio democratico è principio fondatore, unificante di questa europeizzazione. Noi dobbiamo auto-definirci cittadini d’Europa, abitanti di questa provincia del mondo, del pianeta. Noi dobbiamo diventare cittadini di un’Europa non più conquistatrice ma conciliante, un’Europa che costruisca la sua pace e la propagandi. Là dove cresce il pericolo, cresce anche chi lo combatte. Noi ormai sappiamo che nella ricerca demente e sperduta di salvezza, non c’è salvezza. Ma noi, noi ragazzi perduti della Terra, possiamo salvare la solidarietà terrestre” (Edgard Morin, “Un conflitto di civilizzazione portatore di democrazia”, Le Monde Diplomatique, 1994).

L’Europa moriva a Sarajevo, quando Edgard Morin scriveva queste parole. L’idea unificante di un’Europa capace di cooperazione politica, economica e sociale anche fuori dai suoi confini moriva a Mostar. Quell’Europa nata sulle macerie della II guerra mondiale e in grado di agire nello scenario internazionale costruendo la sua pace e la propaganda dei suoi diritti fondamentali. L’Europa di Altiero Spinelli, di Schumann, di Jacques Delors si sgretolava a pochi chilometri da noi. Milioni di persone furono sacrificate a quell’orrore. Profughi da una parte e dall’altra. Vittime di pulizia etnica: il termine fu coniato allora. Bossi, a quei tempi, omaggiava Milosevic e Karadzic in nome dell’autodeterminazione dei popoli.

In Europa, già allora, c’era chi non si arrendeva alla logica degli interessi nazionali e degli egoismi geopolitici. C’era stata pochi anni prima la Guerra del Golfo, quella di Bush padre. Entravano in crisi gli organismi internazionali e alla spinta economica della globalizzazione non corrispondeva la spinta politica alla cooperazione. Nelle piazze si manifestava, contro quella guerra. E nelle comunità locali e nelle case si accoglievano profughi e si assisteva all’orrore. Eppure lo scempio di oggi era difficile da immaginare.

Lo spettacolo desolante di un continente impaurito che non sa affrontare il cambiamento di scenario geopolitico nella sponda Sud del Mediterraneo. Che ha barattato la sicurezza alle frontiere con il sostegno a regimi totalitari sfidando le leggi della fisica, prima ancora di  quelle della politica. Perché lo sanno tutti che se schiacci i flussi da una parte prima o poi esplodono dall’altra: succede in idraulica. E non ci sono frontiere possibili di fronte alla fuga e alla paura. C’è solo il cinismo e l’inadeguatezza di chi non sa prevedere, capire, anticipare, accompagnare.

Se l’Europa degli Stati nazionali sta in queste ore dimostrando la sua inadeguatezza, il comportamento confuso e irresponsabile di chi ci governa dovrebbe farci entrare nella lista degli stati cialtroni, se ci fosse. In queste ore, qui, anche sotto casa mia, arrivano uomini e donne alla spicciolata, con un permesso di soggiorno temporaneo e nessuna pianificazione. L’escamotage del permesso temporaneo è degno della peggiore attitudine pilatesca di cui i padani, evidentemente, sono eredi. Gli si paga un biglietto del treno e basta, sperando che i passeurs facciano il loro sporco compito spingendoli a pagamento verso la Francia. “E i francesi che si incazzano, che le balle ancor gli girano” non racconta di Bartali e del Tour de France, questa volta.

In queste ore, qui, la società civile, le Istituzioni locali, la Chiesa, i Centri Islamici, semplici cittadini stanno mettendo brandine e cuocendo pasta in bianco per decine di persone, uomini e donne e minori. Che prima di essere qualsiasi cosa Maroni dica, sono esseri umani che hanno fame, sete e sonno. Profughi, immigrati o clandestini è l’Italia che lo decide, non certo loro. Sono persone che se non trovassero ospitalità e accoglienza semplicemente starebbero in strada, alimentando la paura e quindi il consenso verso i responsabili di questa situazione.

Si grida all’emergenza ma se si contano i numeri fa persino ridere usare questo termine. Su 60 milioni di abitanti, l’Italia – ancora uno dei paesi più ricchi del mondo, nonostante tutto – non è in grado di gestire qualche migliaio di arrivi. Due per comune, se ci fosse un piano per coinvolgere i più di 8.000 comuni d’Italia. Mille per regione, più o meno. Si preferisce mettere il mento all’infuori e gridare che “spezzeremo le reni alla Grecia” lasciando gli italiani, cioè la parte decente di questo paese, a gestire come sempre la solidarietà. E, come se non bastasse, si minaccia l’Europa perché non si fa carico del problema. Quella stessa Europa dileggiata e disprezzata tutte le volte che si è espressa sul non rispetto dei diritti umani in Italia, sulla discriminazione in atto nella legislazione d’emergenza varata da questo governo.

L’Europa unita e solidale invocata oggi da Maroni non c’è. Dopo aver alimentato per decenni la paura, l’invasione, il pericolo, lo scontro di civiltà, oggi l’Europa è lo specchio delle loro paure. Un continente impaurito e sgomento che non ritiene la solidarietà tra Stati Membri un imperativo fondante della propria identità politica. Che strano. Intanto qui, sotto casa mia e poco più in là, ci sono persone che si fanno carico di altre persone. Fino a quando, non si sa. Ma è la parte migliore di questo paese. Quella che di fronte alla fame, e alla sete, offre pane e versa acqua. A prescindere. “Noi ormai sappiamo che nella ricerca demente e sperduta di salvezza, non c’è salvezza. Ma noi, ragazzi perduti della terra, possiamo salvare la solidarietà terrestre”. Anche sotto casa mia. Ricordiamocelo.

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