4
Nov
2010
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Mirafiori e Torino

“ A Torino non c’è niente da vedere. Torino è Mirafiori. La fabbrica. Il nostro monumento al ‘900 sono i 14 km di mura che la cingono”

Era il 1988, ed io ero una giovane appena laureata arrivata a Torino perchè la vita ogni tanto è strana. Ricordo quel giro turistico intorno alla fabbrica, di notte. E ricordo la sensazione di oppressione nel percorrere quei kilometri nel silenzio ovattato delle notti torinesi, offertomi da cari amici impegnati – come spesso i torinesi fanno – a sottovalutare Torino. Non c’è niente da vedere, dicevano. O sei dentro la fabbrica, nel suo sistema, o non hai niente da fare.

Non ho più pensato a quell’episodio fino a quando non ho ricominciato a frequentare Mirafiori Nord grazie a Urban.

Sono passati quasi vent’anni, ormai anche io sono di Torino e poiché la vita è strana, sono anche Assessore della Città.

Quando abbiamo inaugurato il parco lineare di Corso Tazzoli, le opere di Nuovi Committenti, la Cascina Roccafranca mi sono guardata in giro spaesata cercando di riconoscere i luoghi che in quella notte, tanti anni fa,  mi sembravano spettrali . Ho provato a ripercorrere quel senso di oppressione e di gelo che avevo provato – io arrivata “da fuori” – di fronte ad una città che mi mostrava solo i suoi muri. Quella voglia di scappare via, verso città meno dure.

Cos’era cambiato? Perché non avevo più nessun ricordo di quell’emozione mesta e un po’ triste?

Forse il sole, e il cielo: limpido e azzurro come quando ti sembra di toccare le Alpi con un dito. O, forse, il verde: ecco, il verde lungo il Corso. E le biciclette. Quelle proprio non si vedevano 20 anni fa. Poi, i bambini che giocavano intrecciati in quel ragno di corde e i ragazzi del Liceo Cottini che sorridevano e danzavano in mezzo alla loro cellula.

Poi, la fabbrica dietro quelle mura. Ancora importante, essenziale ed indispensabile. Ma non più l’unico perno intorno al quale ruota la città, i suoi abitanti, i suoi ritmi e i suoi orari.

Però, in fondo, è anche cambiato il modo di raccontare Torino a quelli arrivati da fuori. Nessuno, oggi, direbbe che qui non c’è niente da vedere. Ci si armerebbe di scarpe comode e si porterebbero gli amici in un interminabile giro per la città, il suo centro storico e le sue piazze metafisiche. I suoi Musei e i suoi palazzi. E sono certa che oggi ci si prenderebbe anche una giornata per andare nei quartieri che hanno fatto la storia della Torino del ‘900: Borgo San Paolo, Vallette, Falchera, le Barriere. E, poi, Mirafiori. Quei 14 km di mura che oggi si percorrerebbero in un altro modo. Con un germe di futuro che si infila tra il cuore e il cervello.

La storie si possono raccontare in tanti modi. Con nostalgia, le spalle rivolte all’indietro, la malinconia di tempi apparentemente più facili. Oppure si possono raccontare con passione, sapendo che non si cambiano i luoghi se non c’è profondo rispetto per la loro storia. Ma anche, con le spalle dritte e le dita che toccano le Alpi, immaginando il futuro che è adesso.

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