30
Mag
2011
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Modello Macerata o modello Milano. Ovvero: il paradosso del calabrone

Scrivo questo post ad urne aperte. Domani sarà un altro giorno, comunque vada. Mi permetto di usare categorie pre-politiche – si sarebbe detto una volta. Quelle che tendenzialmente vengono rifiutate con sdegno dagli esperti di politica. Intanto, un fatto: ieri, per la prima volta negli ultimi dieci anni, non ho difeso il PD e la sinistra di fronte ai mal di pancia del mio intelligente, appassionato, incazzato cognato milanese, elettore di sinistra e del PD con l’orticaria. Non abbiamo commentato le dichiarazioni di D’Alema, non mi ha messo sotto il naso l’ultima comparsata televisiva di La Torre, Letta, Bindi, Veltroni, Fioroni. Le ha ignorate. Invece mi ha raccontato dell’arcobaleno su Piazza del Duomo, dei giovani e coraggiosi dirigenti del  PD milanese che ha votato con entusiasmo, di Boeri capace di mettersi a servizio, di Pisapia pacato signore, della gente con la coccarda arancione che girava per la Metro. Per una volta non solo non ho fatto difese d’ufficio – in quanto iscritta, militante e dirigente di un partito del centrosinistra – ma mi sono goduta un pranzo familiare a parlare di futuro, di vento che cambia, di passione civile. Ditemi se è poco. So bene che nessuno di noi è un campione rappresentativo della società, ma il sollievo di poter uscire dalla sindrome della sconfitta è comunque appagante.

Quindi il modello Milano: pagine cattive, astiose, rancorose sono state scritte da ottobre in poi. Giorno delle primarie a Milano, quando sembrava che tutto fosse già scritto. L’OPA di Vendola sul PD e la sconfitta inevitabile, dopo. La messa in stato d’accusa dei giovani dirigenti del PD milanese che, il giorno dopo, si presentavano dimissionari. Poi ci sono state le primarie di Napoli, con il misero e triste spettacolo di un partito diviso per bande, incapace di fare sintesi. Però ci sono state le primarie di Torino che, al di là dell’ottimo esito, sono state uno straordinario spettacolo di partecipazione e di democrazia. E allora parliamo di numeri, proprio partendo da Torino: 54.000 coloro che sono usciti di casa, hanno fatto la coda, hanno pagato 2 euro, hanno fatto una croce e hanno scelto il candidato sindaco del centrosinistra. 54.000 contro 5.000 circa. Questo numero rappresenta gli iscritti a tutti i partiti di centrosinistra a Torino. 3.500 del PD e gli altri, a spanne, iscritti agli altri partiti.

Ci sarebbe un ragionamento da fare sul potenziale di militanza, passione civile e partecipazione che, nonostante noi, il cerchio largo della nostra gente riesce ad esprimere. Ci sarebbe, quindi facciamolo. Invadere i partiti del centrosinistra, e il PD in particolare, significa rimettere al centro la democrazia e la capacità di essere osmotici con la società. Osmosi, non fusione fredda. Vale poco scoprire all’ultimo momento che esiste la società civile e che bisogna includerla nei processi elettorali. La società civile siamo noi, se sappiamo esserne specchio e amplificatore. Se siamo in grado di essere permeabili, dialettici, competenti, ricettivi. Se sappiamo essere portatori di idee, e non solo di interessi. Che in una società atomizzata e frammentata non si sa neppure quali siano, questi interessi. Incapaci, anche loro, di organizzarsi in modo trasparente, collettivo e esplicito.

Poi, c’è la biologia dei corpi elettorali. Il modello Milano, appunto. Quel dato impercettibile e immateriale che ha messo in moto l’ironia, la spontaneità, l’auto-organizzazione, l’entusiasmo, la chiarezza. Per la prima volta, da decenni, a Milano il centrosinistra non ha nascosto gli argomenti scomodi e ne ha fatto un modello di governo possibile. Non ha fatto finta che non esista il fenomeno migratorio, la necessità di dotare l’islam di luoghi di culto trasparenti, la questione dei campi Rom. Ha preso atto, ne ha parlato e ha raccontato come intende affrontarli. Non si è mascherato di un improbabile sceriffismo di sinistra con l’idea di rassicurare un elettorato spaventato. La paura non si sconfigge scappando, ma fermandosi e guardandola in faccia.

La moderazione è il tono che si usa per affrontare problemi seri. Il tono di voce, non l’insapore condimento di un minestrone poco chiaro. A Milano non si sono fatte alleanze con il Terzo Polo. Ma Tabacci, galantuomo del Terzo Polo, ha dichiarato, da cittadino elettore, che non ha dubbi su chi votare. A Torino, dove l’Amministrazione su questi temi ha cercato di dare risposte e di governare la complessità senza furori ideologici ma con pragmatico buon senso e bussola etica, la Lega ha preso una batosta anche nei seggi vicini alla prossima moschea. Il candidato leghista che, insieme a Borghezio, ha aperto una sede proprio di fronte al Centro Islamico e ha cavalcato la tigre dello scontro di civiltà, ha preso 23 preferenze. 23. Non una di più.

La biologia dei corpi elettorali ci costringe a fare i conti con l’etica, il linguaggio, la credibilità, l’autorevolezza della classi dirigenti, la capacità di governare e di cercare soluzioni. Poi, c’è la chimica. Quella del modello Macerata, appunto. Quella delle alleanze, della somma degli score e delle percentuali, dei legami tra molecole. Non che non serva, la chimica. Figuriamoci. Solo che è un altro mestiere, complementare alla biologia della politica. Perché è un mestiere che non tiene conto del sudore, dell’umanità disorientata, dell’intelligenza degli individui e dei corpi sociali. Che non riesce a tenere conto del paradosso del calabrone che per le leggi della fisica non potrebbe volare, perché è troppo pesante per la superficie delle sue ali. Però vola lo stesso, da sempre.

Allora, facciamo una cosa. Per chi è appassionato di chimica delle alleanze apriamo un osservatorio, un centro di ricerca, una fondazione, un centro studi. Metta a disposizione lo sguardo al microscopio e la scomposizione della Tavola degli elementi. E’ utile sicuramente anche per chi si occupa di biologia. Agli altri, ai ragazzini di Milano, ai 54.000 delle primarie di Torino, alla rete di uomini e donne che credono nella politica lasciamo una chance. Il 1994 è durato 17 anni. Una lunga sospensione dalla politica: adesso, per favore, ai quei giapponesi che cercano sempre lo stesso nemico raccontiamo che la chimica delle alleanze non basta, è perdente e ci ha costretto ad una lunga stagione di pranzi familiari a discutere delle comparsate televisive. Oggi, abbiamo voglia di colori. I colori non piangono, sono come un risveglio, scriveva Cesare Pavese.

E, tra l’altro, i colori fanno vincere. Persino ad Arcore e a Novara. Per non parlare di Chivasso e Domodossola. E questo lo scrivo ora. A urne chiuse. In una bellissima giornata di maggio

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