12
Giu
2014
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11 giugno 1984. Compagni, sta morendo il compagno Berlinguer

11 giugno 1984. Primo anno di Università, studentessa fuori sede. Militante della FGCI da quando avevo 14 anni. Cresciuta nella FGCI di “fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia” e “Il coraggio di essere giovani”. Quella delle bandiere della pace, delle marce Perugia-Assisi e delle manifestazioni contro i missili a Comiso. Cresciuta con Berlinguer che parlava di un altro modello di sviluppo, di austerità e di questione morale.

Ero a lezione in università, quel giorno: il segretario sta morendo…. Andammo in Federazione a Pavia, di corsa. Restammo lì, in silenzio, ad aspettare notizie.

Quando morì, non avevamo quasi più lacrime ne’ preghiere, anche laiche anche atee ma preghiere. Partimmo a mezzanotte in pullman. Bandiere arrotolate e silenzio. Durante il viaggio, nella notte, incontravamo altri pullman di compagni. Ci salutavamo dai finestrini, ci abbracciavamo in silenzio negli autogrill.

Arrivammo presto a Piazza San Giovanni. Nell’aria la marcia funebre di Chopin. I compagni che allestivano il palco. Le bandiere arrotolate che venivano appoggiate in terra. Silenzio, io ricordo il silenzio di un milione di persone che si muovevano lente e vicine.

Nel corso della giornata arrivò il caldo, la folla. Compagni che distribuivano acqua e la copia dell’Unità con cui molti si facevano berretti di carta per coprirsi dal sole. Io la tenni, pensando che l’avrei data ad un eventuale figlio per fargli capire la mia storia, la nostra storia. Ce l’ho ancora li, in una scatola, sopravvissuta a mille traslochi: aspetta i 18 anni di mia figlia.

Ad un certo punto la folla si aprì per lasciare spazio al corteo funebre. Ricordo le donne comuniste, Nilde Iotti e Lalla Trupia tra le tante, con delle rose bianche in mano e gli occhiali scuri.

Ricordo Pajetta: “gli occhi dei comunisti devono essere asciutti e anche tra le lacrime guardare lontano”.

Ricordo la voce strozzata di Marco Fumagalli, segretario nazionale della FGCI che non riuscì a terminare il suo intervento perché gli occhi, e la voce, li aveva bagnati da troppe lacrime.

Ricordo la mia fuga dalle telecamere, perché ero a Roma senza aver avvertito i miei genitori e temevo mi vedessero per sbaglio in TV.

Ricordo quella sensazione di essere dalla parte del giusto, immersa in una moltitudine di persone che pensavano la stessa cosa. Quella sensazione che in seguito ho fatto sempre più fatica a provare.

Mi accomuna ai tanti della moltitudine il ricordo di quel silenzio, di quel rispetto e della ragione per cui eravamo lì…

 

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