26
Apr
2016
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Basta cibo extra-comunitario! Cosa mangeremmo se gli altri si portassero via il loro cibo

 

(scritto qualche anno fa)

 

Il cibo degli immigrati è un’ulteriore prova che i proto-fascisti della Lega utilizzano per parlare di invasione, perdita di identità locale e nazionale (che sempre non vanno d’accordo, ma vabbè), tradizioni culinarie tradite, territori invasi da fiumi di cous cous e di kebab.

Vanno in questa direzione le ossessive ordinanze di sindaci leghisti e di destra che “vietano la ristorazione di cibo etnico in generale”  oppure che vietano o mettono limiti, contrari ai principi liberali oltreché costituzionali, alle gastronomie con kebab, che impediscono ai ristoranti cinesi di mettere delle lanterne rosse sulle vetrine.

L’ultima trovata riguarda le insegne in una lingua comunitaria o in dialetto locale (e se ci fossero dei ristoratori cinesi col senso dell’ironia potrebbero fare insegne in bulgaro-cirillico per vedere l’effetto che fa).

In campagna elettorale giravano nei famosi “territori” dei panzuti padani con magliette che recitavano “Si polenta, no cous cous”. Evitando di chiedersi il perché di questa ossessione vediamo un po’ il cibo tradizionale da dove arriva.

 

LA POLENTA – dal latino polènta. Fino al 1.500 indicava una zuppa densa fatta di castagne, cereali o affini (un po’ come il porridge inglese, fatto con l’avena..per chi l’avesse mangiato).

Non essendosi tramandata, non doveva essere un granchè..

Fu Cristoforo Colombo, fine ‘400, che porto’ in Europa (insieme ai fagioli e ai pomodori) alcuni semi di una pianta chiamata “MAHIZ” che gli Incas usavano per preparare delle Polente arricchite da vari ingredienti : salse, legumi, carne o formaggi. Questo permetteva loro di non ammalarsi come succedeva invece ai nostri antenati di pellagra.

Il Mais ci mise un po’ ad essere accettato: si narra che nel 1632, gli abitanti di Gandino (BG) corsero a vedere nei campi una curiosa pianta di Granoturco mai vista prima. Nel 1638 a Lovere (BG) accade la medesima cosa. Vista la diffusione nel Nord “polentone” del Mais, e la definitiva sconfitta della pellagra, si può affermare che i padani devono agli extra-comunitari peruviani la sopravvivenza della specie.

IL GRANO SARACENO – con la cui farina si fa la famosa POLENTA TARAGNA della VALTELLINA (cuore padano-montuoso). Fino all’800 si pensò che la pianta fosse originaria dell’area siberiana. Più recentemente, alcuni ricercatori hanno evidenziato l’ Himalaya orientale come probabile luogo di addomesticazione primario. In ogni caso arrivò nel Nord Italia grazie ai Saraceni (turchi, ottomani, musulmani..) verso la fine del primo millennio, da cui il nome.

LA PATATA – La parola italiana deriva dall’omonimo termine spagnolo, attraverso però l’uso altrettanto diffuso di termini come «papa» (che in lingua quechua indica appunto Solanum tuberosum) e «batatas» nome originario dell’isola Hispaniola.

Portata dai Conquistadores, in Europa la diffusione della coltivazione fu lenta, influenzata da una diffidenza nei confronti di ciò che “cresce sottoterra” fino ad arrivare ad affermare che il consumo diffonda la lebbra ed ad asserire, nell’Encyclopédie del 1765 che si tratta di “cibo flatulento”.

Ci furono poi casi di intossicazione causati dall’esposizione prolungata dei tuberi alla luce, tali fatti enfatizzati nei racconti popolari ebbero un effetto dissuasivo al consumo; la decisione poi di costringere i galeotti o i soldati ad alimentarsi di patate, perché a disposizione a buon prezzo, non fu un buon viatico a considerare le patate un cibo di qualità.

Una volta imparata a cucinarla, la patata salvò milioni di europei dalla denutrizione e ci permette oggi di mangiare a Natale il cotechino con il purè.

IL POMODORO – nasce in Sud America, zona compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù.

Gli aztechi lo chiamarono xitomatl.. La salsa di pomodoro divenne parte integrante della cucina azteca. Alcuni affermarono che il pomodoro avesse proprietà afrodisiache.

Sarebbe questo il motivo per cui i francesi anticamente lo definivano pomme d’amour, “pomo d’amore”: In certi paesi della Sicilia, è indicato anche col nome di pùma-d’amùri (pomo dell’amore).

Probabilmente la “pummarola” viene da questo lungo viaggio.

Il pomodoro arriva in Europa nel 1540, quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in patria e ne portò gli esemplari; con la consueta diffidenza verso le novità, la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo. Arriva in Italia nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud, si ha il viraggio del suo colore dall’originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all’attuale rosso, grazie a selezioni e innesti successivi.

IL RISO – La pianta ha origini asiatiche: i cinesi la coltivavano a scopo alimentare già nel VI millennio a.C., così come testimoniato da diversi siti del neolitico, nella Cina orientale.

GLI SPAGHETTI – Si narra che siano stati introdotti dal Marco Polo di ritorno dalla Cina (altro Paese nel quale sono noti e apprezzati piatti tradizionali) nel 1295.

LA PIZZA – L’etimologia del nome “pizza” deriverebbe secondo alcuni, da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, cioé pestare, schiacciare, pigiare o dalla pita mediterranea e balcanica, di origine greca. Secondo quest’ultima ipotesi la parola deriverebbe dall’ebraico פִּתָּה o פיתה, dall’arabo كماج e dal greco πίτα (di provenienza albanese), da cui anche pita che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce.

IL MAIALE – L’allevamento del maiale è antichissimo. Intorno al 5.000 a.C. si suppone che sia avvenuta la domesticazione in Cina, e tracce di poco più recenti se ne hanno anche in Mesopotamia.

L’OLIVA (o uliva) è il frutto commestibile dell’olivo originario del bacino del Mediterraneo

IL GRANO – È originario dell’Asia sud-occidentale, precisamente in quella che veniva definita la Mezzaluna Fertile tra il Tigri e l’Eufrate e fu tra le prime piante ad essere coltivate stabilmente da popoli sedentari.

IL KEBAB, fonte di tante preoccupazioni – La parola Kebab è di origine araba e si riferisce di solito a carni cotte su uno spiedo sebbene l’etimologia corretta sarebbe “carne fritta”. Il kebab, quindi, è il modo arabo per dire Barbaque, spiedino, rosticino

 

Adesso proviamo a sfidare un padano ad usare soltanto ingredienti locali, eliminando quelli extra-comunitari.

Scoprirà che deve rinunciare alla pizza Margherita, alla Polenta Taragna, alla Paissa, al Risotto alla Milanese, agli spaghetti al sugo,  alle lasagne, alla salsiccia, alle costine di maiale alla brace, agli spiedini, alle patatine fritte, alla Rustisana, alla Casseula (anche i fagioli sono peruviani).

Potrà tornare a farsi polentine di castagne, e ricomincerà a morire di pellagra.

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