3
Giu
2016
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KAFKA AI TEMPI DI IMMIGRAZIONE: se gli strani siamo noi – Alcune pillole di assurdità

 

 PIGACHU

Una coppia di cinesi andò all’Ufficio di Stato Civile per fare le pubblicazioni di matrimonio, finalmente.

Lei, residente a Torino. Lui, in Spagna. 12 anni di lontananza, un fidanzamento lungo una vita. Un futuro, finalmente, insieme. Impossibile solo per un particolare: lei risultava coniugata.

Anche i cinesi, nel loro piccolo, si incazzano. Scene da cavalleria rusticana in stretto cinese: i due parlavano poco e male italiano. Il funzionario dell’anagrafe con le mani nei capelli. Arrivò Stella – mediatrice culturale cinese – per capire l’accaduto.

Consolò la futura sposa in lacrime, tranquillizzò il futuro marito furibondo.

Tirarono fuori le carte: lei risultava sposata con Pigachu, personaggio dei cartoni giapponesi.

Anni prima, quando  andò a registrarsi all’Anagrafe si fece aiutare a compilare i fogli dal nipotino di 6 anni, perfettamente italoparlante ma pur sempre un bambino. Alla voce “coniugata” scrisse, semplicemente, un nome che aveva in testa. Quello del personaggio preferito dei cartoni.

La tragedia si placò ma si trasformò immediatamente in farsa: come divorziare da Pigachu, come dimostrare che era morto? Fu la flessibilità del funzionario a risolvere la situazione, con un tratto di penna pose fine alla questione.

Si sposarono e vissero felici e contenti

 

Il signor APOORVA SENZACOGNOME

Conobbi un signore indiano che lavorava in un maneggio da molti anni. Percepì la mia aurea-delle-cause-perse e si avvicinò per chiedermi aiuto.

Dopo 15 anni di lavoro in Italia – con permesso di soggiorno e contratto di lavoro regolare – finalmente stava per tornare in India per celebrare il matrimonio della figlia. Suntuoso: aveva risparmiato una vita per pagarlo e fare bella figura con i parenti dello sposo.

Andò a comprare il biglietto aereo e lì scoppiò la bomba: il cognome sul suo permesso di soggiorno non corrispondeva a quello sul passaporto. Disastro, panico, disperazione. Non capiva cosa fosse successo, parlava perfettamente l’inglese ma l’italiano burocratico gli sfuggiva.

Era successo che quando gli rilasciarono l’ultimo permesso di soggiorno, il funzionario non aveva voglia, tempo, desiderio di trascrivere interamente il nome – Apoorva– e il lungo cognome indianissimo.  Tagliò corto e, semplicemente, nel campo COGNOME scrisse SENZACOGNOME. Quindi rilasciò un permesso di soggiorno intestato al signor Aproova Senzacognome, nato in India e residente in Italia. Che non corrispondeva al signor Aproova Trallallà del passaporto. In questo caso  ci vollero mesi di risalita nella corrente della burocrazia kafkiana. Non partecipò al matrimonio della figlia.

 

IL SIGNOR HU E IL CONDOMINIO

Gli stranieri  proprietari di casa non conoscono tendenzialmente il diritto di condominio, non capiscono quote e millesimi, non capiscono perché devono pagare delle cifre a qualcuno ogni anno. Sono fonte di conflitto e diffidenza.

Misi in piedi, a Porta Palazzo, un servizio di mediazione culturale e  informazione dei diritti/doveri condominiali per i proprietari di casa stranieri. Cinesi in particolare. Con l’aiuto di mediatori culturali e amministratori di condominio, cominciò l’intensa attività di catechizzazione: il condominio è la prima cellula democratica fuori dalla famiglia, bisogna partecipare alle decisioni, andare alle assemblee, contribuire alle parti comuni. Wow.

Il signor HU si convinse, aiutato da Stella capì perfettamente la questione. Si impegnò ad andare, il giorno dopo, all’assemblea di condominio.

Tornò qualche giorno dopo, deluso: “sono andato a mezzanotte in quel posto, ma non c’era nessuno”.

Guardammo la convocazione dell’Assemblea e rispondemmo in coro. “ma è ovvio, si va alla seconda convocazione, non alla prima. Non vedi che questa è scritta in grassetto?”.

Ci guardò come fossimo marziani, scosse la testa. L’assurdità della cosa, che nessuno di noi aveva ritenuto men che ovvia, credo lo convinse di essere immigrato in un mondo di pazzi.

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