11
Mar
2016
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MOVIDA si MOVIDA no: parole che non hanno senso, ma cercano consenso

La parola Movida non vuol dire niente. Dentro il contenitore “Movida” ciascuno ci mette del suo: disordine, rumore, urla, inciviltà, cultura, libertà, fastidio, piacere, lavoro, occupazione, consumo. Tutte cose vere e false nello stesso tempo: servono come arma retorica ma non servono per capire e affrontare fenomeni diversi e complessi.

Quando se ne parla  bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riempire anche la colonna del “come”.

Il “cosa” non basta: o mi spieghi come lo fai o sei un ciarlatano.

La colonna del COME è importante, sia per giudicare cosa si è fatto sia per proporre cosa fare. Altrimenti sono chiacchiere per gonzi. Nella colonna del COME ci deve essere: con quali leggi, con quali risorse, con quali strumenti, con quali obiettivi

 

Vediamo le affermazioni sul COSA senza la colonna del COME (un’ avvertenza, ciascuno di questi argomenti potrebbe essere sviscerato, analizzato ed approfondito. Se si volesse entrare nel merito)

–          “distinguiamo tra malamovida e offerta culturale di qualità”: wow, come non essere d’accordo. Quali sono le azioni amministrative per fare questa distinzione? Chi autorizza che cosa e sulla base di quali criteri? Sulla base dei gusti personali? Per esempio, a me piace lo swing e ritengo che, in tutte le sue forme, sia un’offerta di qualità. Ergo negherò l’autorizzazione all’apertura di quei locali privati, che presentano un progetto edilizio a norma di legge, che avranno tutta la documentazione a posto, che rispetteranno la normativa sui locali di pubblico spettacolo ma che non avranno una programmazione di swing. Si chiama abuso di potere, o abuso d’ufficio. E’ un reato penale.

–          Spostiamo la movida giovanile nelle aree industriali di periferia. Ariwow. Una volta si chiamavano Rave, ora si chiamano “aree del divertimento giovanile”. Come? Si obbligano gli operatori del divertimento a bonificare le aree industriali e metterle a norma in modo che siano fruibili?

Oppure si lasciano così, un po’ pencolanti, perché fa tanto Berlino Post-war e poi, chissene, sono in periferia e non si vedono?

Oppure l’Amministrazione si sostituisce al privato, bonifica e ristruttura ed apre discoteche di Stato dove impiegare dipendenti nottambuli? Ah, no, scusate: l’amministrazione bonifica e riqualifica a spese sue, poi fa un bando e mette in affitto. Ok. Quello che abbiamo fatto nell’area ex-Incet (prevedendo un’offerta di qualità, quella si), nelle Case di Quartiere, nei Centri di protagonismo giovanile. Dove, infatti, c’è offerta di qualità (teatro, cinema, musica, spettacoli, laboratori eccetera eccetera) molto fruita dai cittadini, giovani e non. I Docks Dora negli anni 90/2000 lo sono stati, i Murazzi dell’epoca d’oro. (tutti luoghi che hanno generato proteste, tra l’altro) Si può accompagnare e orientare lo spostamento. Obbligarlo non produce risultati.

Oppure, dietro a questa affermazione, c’è un’idea di città che sposta oltre le mura tutto ciò di cui ha bisogno ma non vuole sotto casa: i rifiuti, i poveri, i giovani nottambuli, l’indecoroso urbano. Invece di affrontarli come fenomeni sociali, da governare con senso della misura e interventi socio-culturali – si spostano un po’ più in là, a casa di qualcun altro che non ha la forza ne’ la capacità di scrivere ai giornali e protestare.

–          Vietiamo l’apertura di nuovi locali nelle zone già congestionate. Ai sensi di quale legge? Perché vi informo che è in vigore una legge, la 248 del 2006 che ha stabilito un semplice e chiaro principio di derivazione comunitaria e di ispirazione liberista: i Comuni non possono più contingentare le licenze inerenti le attività economiche di distribuzione commerciale, ivi comprese la somministrazione di cibi e bevande. La 248 è stata successivamente modificata dalla legge 111 del 2011 in cui la liberalizzazione è stata estesa anche agli orari ed ai giorni di chiusura. La 248 è stata recepita dalla Regione Piemonte con la Legge regionale 29 dicembre 2006, n. 38 e ulteriori modifiche (ripreso dal REGOLAMENTO PER L’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’ DI SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE DEGLI ESERCIZI PUBBLICI del comune di Torino, nella versione del 2009 e poi del 2013)

Questo si traduce nel seguente fenomeno: io, proprietario dei muri di un esercizio commerciale, posso affittare a chi mi offre di più, il quale può aprire un locale di pubblica somministrazione se rispetta le normative edilizia, igienico-sanitarie e se paga la compensazione dei parcheggi come previsto dalla legge.

Si chiama libero mercato: vi informo che è dal Trattato di Yalta in poi che siamo da quella parte del mondo, e ormai nemmeno in Bulgaria c’è la pianificazione quinquennale sulla raccolta del grano e le discoteche di Stato. Ci piaccia o meno, funziona così.

–          Vietiamo i dehors: ariariwow. Non entro nel merito regolamentare (lo conosco, ne ho scritte delle parti, lavoriamo da tempo per trovare l’equilibrio tra: diritto degli esercenti, qualità estetica, funzionalità, costi, tipologie di occupazione di suolo pubblico, eccetera. Molto è stato fatto, altro si può cambiare o modificare: aspetto da anni proposte fattibili. Io ne ho proposte e regolamentate molte).

Però, permettetemi, prendersela con i dehor per il casino sotto casa è come avere a cena dei commensali maleducati e fracassoni e prendersela con il tavolo. Elimini il tavolo, i commensali maleducati restano, si siedono per terra e tirano le bucce delle arachidi in giro per la stanza. All’uso incivile del territorio, alla maleducazione e alla mancanza di senso civico rispondere togliendo il tavolo è come mettere un cerotto su una gamba di legno: non serve a niente.

–          I giovani bevono e si drogano bisogna impedirlo, il sindaco cosa fa? Qui potremmo aprire un capitolo lungo pagine sul tema delle dipendenze, dell’efficacia delle politiche proibizioniste, sull’educazione e la prevenzione come strumento di consapevolezza al consumo. Eccetera eccetera. Affrontarla così, avrebbe una parvenza di discussione seria.

Decidere di eliminare la vita giovanile nel centro per spostarla in periferia significa invece avere a cuore esclusivamente il proprio disturbo fregandosene delle sorti delle nuove generazioni. I giovani e il loro benessere vengono usati come scusa, in realtà ci frega che tutto avvenga lontano dai nostri occhi. Si desidera il ritorno al modello urbano anni ’80: discoteche fuori dalle città, consumo di droga a manetta, morti del sabato sera. Lo conosco, quel modello: è quello di quando ero ragazzina io. Di amici morti per overdose o spiaccicati lungo un muro purtroppo ne ho avuti.

Detto questo, se mia figlia tornasse a casa ubriaca marcia alle 5 del mattino e sapessi che si è arrampicata sul un palo della luce in Largo Saluzzo urlando come una scimmia, la riempirei di sberloni. La affronterei, la tirerei scema, mi interrogherei sulla mia capacità educativa. Farei il genitore. L’ultima cosa che mi verrebbe in mente è scrivere una mail al sindaco o all’assessore alle politiche giovanili richiamandoli alle loro responsabilità sul comportamento di mia figlia.

Infatti mia figlia non torna a casa ubriaca alle 5 del mattino, non butta in terra nemmeno una cicca e cede il posto sull’autobus alle persone in difficoltà. L’ho educata.

Come devono fare le famiglie, la scuola, le agenzie educative tutte, la comunità adulta di riferimento. Una società adulta che rinuncia al suo dovere educante e si deresponsabilizza per attribuire “la colpa” all’Autorità Costituita è una società che mi fa paura. Perché è pronta a cedere ogni spazio di libertà all’Autorità pur di non doverci pensare da sola.

SI POSSONO FARE DELLE COSE? Si, molte si fanno già, molte altre si possono fare.

–          Patti di convivenza che impegnino tutti gli attori ad assumersi responsabilità (gli esercenti, la strutture pubbliche, le forze dell’Ordine, gli operatori eccetera eccetera) per ridurre il disagio e trovare forme di equilibrio tra le diverse esigenze dei cittadini. Abbiamo numerosi esempi in città (san Salvario, Piazza Vittorio, si sta lavorando con i nuovi assegnatari dei Murazzi quando apriranno, Vanchiglia e la movida sostenibile..). Basta? No: riduce il danno e educa alla civiltà ed al rispetto. C’è chi non rispetta le regole. Si multano (cosa che si fa, con tutte le difficoltà a cogliere in flagranza di reato l’imbrattatore di muri o quello che piscia sulla colonna dei portici.. a meno che non si pensi di avere l’esercito in ogni angolo 24h su 24 oppure che si debba multare nel mucchio, al di fuori della legge e delle regole) e si trovano soluzioni condivise. Si promuove – in accordo con gli operatori – una programmazione diversificata in modo che cambi il pubblico e si distribuisca nei diversi orari della giornata. Altro si può fare, molto di più: ma se partissimo da qui invece di fingere che non serve a nulla, avremmo fatto qualche passo in più nel dibattito.

–          Si organizzano iniziative, eventi, proposte culturali sullo spazio pubblico che sottraggano posto agli incivili, li emarginino e aumentino la fruizione positiva dei luoghi. Sono centinaia le inziative di questo genere: da San Salvario al centro storico, dal Quadrilatero a Vanchiglia ci sono operatori, associazioni, realtà della società civile che lavorano in partnership con l’Amministrazione per favorire un uso meno molesto dello spazio pubblico.

–          Si concorda con gli organizzatori degli eventi un uso sostenibile dei luoghi (orari, raccolta differenziata, responsabilità nel lasciare puliti gli spazi). E’ il caso degli ultimi Botellon (che avverrebbero lo stesso, in modo spontaneo semplicemente perché non c’è una legge che impedisce alle persone di ritrovarsi in una piazza. Il reato c’era: si chiamava adunanza sediziosa. Era contenuto nel Codice Rocco, il Ministro Fascista) o di cento altre iniziative intercettate o organizzate che sono state GESTITE.

 

POI, MA QUESTA E’ STORIA URBANA, le città nascono per ospitare dentro le proprie mura il disordine, l’inatteso. La città è il luogo di incontro/scontro tra interessi diversi, diversità generazionali, di stili di vita, purtroppo anche di senso civico ed educazione al rispetto dei beni comuni. Da sempre è così. L’urbanità implica disordine, conflitto, fatica e ricerca continua di equilibri e sistemi di regolamentazione.

Il milieu creativo – che piaccia o no – nasce anche nel disordine urbano, nei suoi sfridi e nelle sue contraddizioni. Fingere che non sia così, accontentarsi delle recensioni TripAdvisor su cosa succede a Parigi e Berlino è prendere in giro la gente. Anche quelli che hanno il disagio sotto casa.

Chi promette Legge&Ordine senza riempire la casella del COME, semplicemente racconterà – dopo, quando avrà la responsabilità di governare – che la colpa della mancata promessa è di qualcun altro (il Prefetto, il Ministero degli Interni, Il Governo, L’ONU, gli immigrati, i giovani eccetera eccetera). Deresponsabilizzandosi e aumentando il livello del conflitto. Non portando una soluzione che è una al problema.

 

 

 

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