1
Mar
2017
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una storia per noi, viaggiatori erranti nello spazio pubblico impaurito

Un giorno anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra”, diceva Jim Morrison.

In realtà il suono che ci accompagna nello spazio pubblico è, ossessivamente, suono di guerra.

Negli aeroporti, nelle stazioni. Nei luoghi dell’arrivo e delle partenze. Là dove ci si incrocia, tra viaggiatori erranti,  portandosi dietro motivi, ragioni, storie, pensieri, ricordi, tristezze, passioni. Tracce di umanità in viaggio, che si incrociano senza guardarsi.

“E’ fatto divieto” …di lasciare un bagaglio incustodito, di attraversare la linea gialla, di entrare senza mostrare il biglietto, di sedersi per terra, di consumare cibi e bevande fuori dagli spazi consentiti, di acquistare da persone non autorizzate.

“E’ fatto divieto”:  viaggiatore errante, non dimenticartene mai.  Te lo ripetiamo  ad alta voce, sempre. Entriamo nello spazio intimo dei tuoi pensieri, delle tue conversazioni, della tua solitudine per ricordarti che teniamo alla tua sicurezza, al tuo decoro, al tuo essere sovrappensiero mentre cammini distratto nello spazio pubblico fatto di moltitudine minacciosa.

Potresti essere minaccia come potresti essere minacciato. Te lo ricordiamo, sempre.

Guardati intorno, viaggiatore errante. Tieni la tua borsa attaccata al corpo, non lasciare i bagagli incustoditi, non  oltrepassare la linea gialla.

Osserva chi ti sta accanto. Guarda se lascia il bagaglio incustodito, se digrigna i denti, se si avvicina troppo.  Se è vestito strano, se parla un’altra lingua, se ha la barba, se ha il capo coperto. Se è in coda per prendere il tuo stesso aereo. Augurati che gli facciano togliere le scarpe, che gli controllino le tasche. Odialo, se lo fanno, perché ti fa perdere tempo. Maledetto, proprio oggi doveva viaggiare qui con me.

Si scende  e si è accolti da dlin-dlon ossessivi  che segnano arrivi e partenze, che non lasciano spazio al benvenuto o all’addio. Che mettono in guardia, che ricordano i motivi di sicurezza che scandiscono le nostre vite.

Nei dlin-dlon scanditi dello spazio pubblico – in quell’”E’ fatto divieto” che ti rincorre – c’è il pericolo che si fa corpo, sostanza, presenza. Ti penetra negli interstizi – individuali e collettivi. Ti distoglie dall’intimità del viaggio – dai motivi, ragioni, storie, pensieri che ti porti dietro. Ti impedisce lo sguardo curioso sulla vita degli altri: le loro valige, i loro vestiti, la loro espressione del viso. La mano della madre che trascina il figlio. Una famiglia che si riabbraccia. Quattro braccia che si stringono. L’umanità in viaggio con le sue storie.  Misere o bellissime.

I dlin-dlon ti ricordano che sei in pericolo. Perché siamo in una guerra con soldati senza divisa. Che si mimetizzano nell’umanità in viaggio. E’ una guerra in cui il nemico può essere l’homeless che dorme per terra, il materasso abbandonato, la donna velata, il suo bambino nel passeggino, l’uomo anziano che gli sorride, il ragazzo del Ghana che ti chiede due spiccioli. Perché è una guerra dove tutto ha lo stesso peso. Il decoro, le vite lacere, lo sporco per terra, le bombe, gli attentati. L’alterità esteriore. La paura vera che prende lo stomaco.

Se, per caso, te lo dimentichi ci sarà il Dlin-dlon pronto a ricordartelo.

Il suono che ci accompagna nello spazio pubblico è suono di guerra. Non si può non avere paura.

Provate ad immaginarvi se in quello spazio pubblico ci fosse il suono di una chitarra.

Un Lieder di Schubert. Un dlin-dlon che ti accoglie augurandoti buona giornata. Buon arrivo. Buon ritorno.

Provate ad immaginarvi, per un momento, se a quei suoni di guerra rispondessimo con suoni di chitarra. Se le mani di quella madre che trascina il figlio fossero solo mani frettolose di tornare a casa. Se quel sorriso di vecchio fosse la sua nonnità straripante e non il morboso interesse pedofilo. Se quegli abbracci fossero abbracci di chi si ritrova dopo essersi amato. Se in quella valigia così pesante ci fossero libri. Se le storie degli altri diventassero storie intrecciate alle nostre, viaggiatori erranti in un mondo in tempesta.

Provate ad immaginarvi come sarebbe bello sconfiggere una guerra con un Lieder di Schubert sparato a palla dall’atmosfera. Con più libertà, con più inclusione, con più democrazia. Costringendo i Dlin-dlon a salutarci, tutti noi viaggiatori erranti. A dirci buongiorno e benvenuto. Spiazzando gli imprenditori della paura che non avevano fatto i conti con un’umanità nuova, più capace, più connessa, più globale, più innamorata della bellezza.

Provate ad immaginarvi una manifestazione globale che chiede più pianoforti nelle stazioni  e meno telecamere per le strade. Provate ad immaginare che botta di premessa sarebbe per ricominciare a parlare di uguaglianza, di libertà , di fratellanza. Per ridare senso alle parole che usiamo. Affrontando i nodi veri. Quelli che stringono il corpo di questo mondo in tempesta.

Chiudete gli occhi. Tappatevi le orecchie. Raccontatevi una storia. E’ gratis. Al massimo sorridete mentre ve la raccontate.

 

 

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